Inside the Injury: UFC 261 e i calf kicks. L’analisi degli infortuni di Crute e Weidman

Inside the Injury: UFC 261 e i calf kicks. L’analisi degli infortuni di Crute e Weidman

27 Aprile 2021 5 Di Ernesto Piane

UFC 261 è stata forse una delle card più spettacolari di sempre, tutti gli incontri della main card sono finiti prima del limite e alcuni con risultati del tutto inaspettati. Una serata entrata di forza nella storia della Ultimate Fighting Championship. Tuttavia, verra ricordata anche come teatro di uno dei peggiori infortuni della storia delle MMA, ovvero la frattura tibiale scomposta ai danni di Chris Weidman.

Il calf kick è un’arma decisamente efficace che i vari team stanno proponendo ai propri atleti molto spesso ultimamente. Complici anche le recenti celebri vittorie di Dustin Poirier e di Marlon Vera che, con questa strategia, hanno debilitato la gamba dell’avversario, riuscendo ad immobilizzarlo e finirlo. Vale la pena ricordare quanto questa scelta tattica abbia sbugiardato i botteghini che avevano dato entrambi come sfavoritissimi.

Ma passiamo ai due match che ho deciso di analizzare.

Anthony Smith vs Jimmy Crute

Photo by Alex Menendez/Getty Images

Chi si fosse perso gli incontri che ho citato ha comunque avuto la possibilità di vedere, durante UFC 261, cosa possono fare questi calci se eseguiti alla perfezione. Infatti Anthony Smith ha messo a segno una serie di calci devastanti che hanno completamente bloccato la funzionalità del Nervo Fibulare Comune, nella sua zona più esposta: ovvero il punto in cui si superficializza, per poi passare nel piccolo canale osseo sulla testa del Perone. In questa precisa area il nervo è molto esterno e ricoperto solo da un sottile rivestimento adiposo, un vero e proprio punto debole. Chi ha visto il match tra Crute e Smith si è reso conto quanto l’atleta Australiano fosse immediatamente incapace di poggiare il piede e camminare normalmente. Questo perché la muscolatura innervata dal Fibulare, in particolare il muscolo Tibiale Anteriore, è responsabile di alcuni movimenti determinanti per l’equilibrio e la deambulazione.

Vi rimando a questa mia vecchia analisi sul match tra Dustin e Conor, per chi volesse qualche informazione in più sulla biomeccanica e le conseguenze dei calf kicks.

Uriah Hall vs Chris Weidman

Mandatory Credit: Jasen Vinlove-USA TODAY Sports

Ironia della sorte, nel match successivo della main card, siamo stati partecipi dell’epilogo drammatico della stessa strategia. Al primo calf kicks, infatti, la tibia e il perone di Weidman cedono e si fratturano lasciando l’atleta al suolo in preda al dolore lancinante.

Quello che sembra un infortunio casuale e attribuito magari ad un’esecuzione sbagliata (che per un veterano come Weidman mi pare assurdo), in realtà racchiude un quadro fisiopatologico estremamente complesso.

Per comprendere bene la dinamica bisogna innanzitutto partire dicendo che anatomicamente il terzo distale della tibia (ovvero la porzione più vicina al piede che Weidman si è fratturato) è il punto dove l’osso anteriormente è piu affilato, ma è anche la zona dove non c’è la muscolatura a proteggerla dagli urti. Quindi tendenzialmente più esposta a fratture. Mentre nel punto bersaglio dei calf kick (ovvero la zona subito sotto il ginocchio) l’osso tibiale è più spesso ed è protetto sia da muscoli che dalla presenza dell’altro osso della gamba, il perone.

Quindi chi sferra il calcio deve essere consapevole che in quel preciso punto il nervo fibulare comune è vulnerabile, ma il resto della struttura è decisamente più resistente e molto meno suscettibile a fratture. Infatti, se l’atleta posiziona bene la gamba, sarà come prendere a calci una colonna di cemento. 

Come ho spiegato questo lunedì durante la diretta Twitch sul canale di Alex, sono convinto che questi infortuni abbiano una determinata causa predisponente. Ne ho analizzate alcune, ma qui per praticità riporto quella che secondo me è la più probabile.

Avrete sicuramente sentito parlare di Fratture da Stress prima d’ora, specialmente se legate a sport come la maratona e il sollevamento pesi. Si tratta di micro fratture dovute alle intense e continuative compressioni dovute da allenamenti e sforzi esagerati, chiamate volgarmente anche fratture da “usura”, tipiche degli atleti. All’inizio, nel punto più sollecitato, si crea una zona di infiammazione e di edema osseo che poi, con il ripetuto stress meccanico, si trasforma in una micro frattura.

Queste lesioni da stress hanno qualcosa in comune con quello che è successo a Weidman?

Sono convinto che gli atleti che subiscono queste drammatiche fratture durante i match come Chris Weidman abbiano alla base un danno strutturale o un’area di infiammazione ossea che si è verificata durante il camp e non è stata riconosciuta in tempo. In particolare è logico pensare che chi ha fondato una parte della strategia sui calf kick, abbia allenato molto questo colpo, andando a migliorare il movimento e la potenza ma fiaccando la struttura ossea per i numerosi colpi dati in sparring. La riparazione dell’osso è molto più lenta che negli altri tessuti, ed un’area danneggiata e quindi “in fase riparativa” è molto vulnerabile ad ulteriori danni e traumi.

Gli atleti in primis tendono a tenere nascosti i dolori, essendoci abituati, o a sottovalutarli. Non avere, come parte integrante di un Camp, un controllo medico approfondito, su misura e coordinato con il team rischia di creare queste condizioni. Non fraintendetemi, ovvio che gli atleti UFC siano sottoposti a controlli medici, ma dubito fortemente che il medico in questione sia stato a conoscenza della strategia di Weidman, su quanto ha allenato i calf kick e magari su quel doloretto alla tibia che “non è nulla di grave”, visto che nella sua lunga carriera ne avrà sentiti simili in migliaia di altre occasioni.

Questo dettaglio fa tutta la differenza. Infatti, ad esempio, una Risonanza Magnetica avrebbe sicuramente individuato un’area di edema della spongiosa ossea, di periostite o perfino una micro frattura. Ma, un radiologo esperto, avrebbe visto l’area di infiammazione periostale e dei tessuti molli anche con l’Eco-Doppler. Una diagnosi che, collegata alla clinica, forse avrebbe prevenuto il drammatico epilogo.

 

A cura di Ernesto Piane