La storia di Nick Diaz: ‘gangstar’ nella vita, poeta in gabbia: “Non c’è amore senza odio”

La storia di Nick Diaz: ‘gangstar’ nella vita, poeta in gabbia: “Non c’è amore senza odio”

20 Maggio 2020 1 Di Redazione

Nick Diaz è stato negli scorsi lustri una delle più grandi star che la UFC ha avuto. Fratello maggiore di Nate (sì, quello della rear naked choke a McGregor) è stato campione WEC e Strikeforce dei pesi welter, ma forse è inutile parlare troppo dei suoi meriti, in quanto fighter unico nel suo stile ed impossibile da non conoscere se si è appassionati di MMA.

Nato a Stockton, capoluogo della California, ha frequentato la Tokay High School, diventando anche membro della squadra di nuoto. Durante infanzia e adolescenza ha praticato karate, aikido e si è dilettato in qualche torneo di wrestling, per poi dedicarsi quasi esclusivamente al brazilian jiu-jitsu, conquistando la cintura nera nel 2007 da Cesar Gracie. È da sempre tendenzialmente vegano e sostenitore attivo dell’utilizzo di cannabis.

A 18 anni appena compiuti ha fatto il suo ingresso nell’ottagono, ma prima del debutto la fidanzata Stephanie si suicidò buttandosi nel traffico e da lì Diaz tornò quotidianamente sulla tomba a prometterle che diventerà il fighter che lei ha sempre desiderato.

E ciò che realmente stupisce, incuriosisce e rende unico un fighter (o ex fighter, chissà) come Diaz è l’attitudine, la mente, la psicologia e l’approccio al mondo delle MMA, ma più in generale alla vita.

Gail Tutt, sua professoressa ai tempi delle superiori, racconta che Nick Diaz da bambino, se aveva in mente di fare qualcosa, l’avrebbe fatta, senza pensarci su. Quando l’ha rivisto in tv ha notato che è rimasto uguale: nessun contatto visivo, parla in modo lento e deliberato, prende grandi respiri tra una parola e l’altra.

Steve Heath, suo primo coach, parla di Diaz come uno che non combatte per la paga, per il successo, per essere approvato: combatte per sopravvivere, perché sa che sta cogliendo quest’unica opportunità che si è preso ostinatamente nel corso degli anni.
Cesar Gracie, l’uomo che ha dato vita al BJJ aggressivo, creativo e a tratti impeccabile di fighter in questione, sostiene che quest’ultimo non può essere distrutto mentalmente o spaventato.
Aggiunge che di tratto, spesso si innervosisce perché non riesce ad esprimersi bene verbalmente, ma quando è in gabbia, è un poeta. Gli è sempre stato detto che non ce l’avrebbe fatta, che non è nato per questo, che non è roba per lui e quando combatte è chiaro che prenda energie da questa negatività che gli è stata implementata, sfortunatamente per il suo avversario.

Tra testimonianze e vissuto dell’ex campione WEC e Strikeforce, è evidente che abbiamo davanti e abbiamo assistito alle gesta di un individuo particolare, raro, vero ed intenso.
Ha vissuto una crescita burrascosa in una California dipinta ma non più colorata e solare come siamo abituati a sentirla, ma come un luogo grigio, che offre strade ostiche da percorrere. Nelle scuole non ha appreso didatticamente ma ha imparato il confronto con la realtà, ma soprattutto con una realtà sociale che lo ha portato ad essere come è: silenzioso, strano, ambiguo, volgare e controverso.

Le provocazioni dentro l’ottagono, il linguaggio scurrile, gli stockton slap ed il trash-talking (quello vero) si proiettano alla perfezione in uno stile di combattimento che ha deliziato gli occhi e incuriosito le menti di tutti gli spettatori che lo hanno vissuto, fatto di una boxe volumetrica, ritmica e pressante, un mento granitico, una lotta a terra tecnica ed imprevedibile e una tenacia da pochi.

Per non parlare poi delle controversie: interviste e battibecchi coi giornalisti e gli avversari e un particolare ed amoroso rapporto con l’uso di marijuana: sostanza malvista in sede di controlli e test pre-match ma abusata da Diaz, tant’è che dopo il suo ultimo match, quello contro Anderson Silva del 31 gennaio 2015 (vinto da Silva ma trasformato in no-contest), fu sospeso per utilizzo di sostanza illecita. La quantità di THC trovata nel suo corpo dopo il match era elevatissima, tanto da far pensare che durante i round fosse sotto effetto.

Anche questo era ed è Nick Diaz: sfidare un dio come Anderson Silva (dopato tra l’altro, secondo i test post-match) mentre si è fatti di marijuana.

Per amare il combattimento ho dovuto odiarlo. Non c’è sentimento di amore senza odio. È da pazzi credere che hai le telecamere puntate quindi diventi una star, tutti ti amano, sei acclamato. Io non credo e non voglio questo, quello che so è che voglio entrare in gabbia e fare il culo a chi ho davanti.

Mai un sorriso, mai un eloquio disteso, chiaro ed esuberante. Sempre e solo uno sguardo che lascia trapelare una mente tremendamente pensante, incapace di esprimersi come una grande star che sproloquia parole e storie per vendersi. Solo limpidezza, coerenza e schiettezza col proprio essere, la propria natura, la propria storia. Nick Diaz non è nato per combattere, è nato per sopravvivere combattendo. Non è la classica storia del ragazzo che parte dal basso ed arriva sul tetto del mondo, è la storia di una personalità unica che ha saputo divaricare i rami ostruenti che infestano le strade della vita. Ha preso in mano l’arte marziale e l’ha modellata su se stesso, dando vita ad uno stile irreplicabile dentro e fuori l’ottagono.

Diaz è un misto tra un BJJ sublime, uno striking sporco, non potente ma volumetrico ed efficacissimo ma soprattutto un misto tra tigna, una mente impavida, un ritmo implacabile, una purezza di espressività ed una mentalità da vero, e per vero si intende vero, duro.
Nickolas Robert Diaz è un poeta impressionista dell’ottagono.