Cosa passa nella mente di un “dopato”? Storia della fragilità mentale di T.J. Dillashaw
20 Aprile 2020 5 Di RedazioneT.J. Dillashaw è stato uno dei più grandi bantamweight della storia della UFC finché non è stato trovato positivo all’EPO, una sostanza dopante che rinforza i globuli rossi con lo scopo di incamerare più ossigeno, usato spesso in sport come il ciclismo o la corsa, per il grande aiuto che dà al condizionamento.
The Viper ha rimediato due anni di squalifica, precisamente fino al 18 gennaio 2021.
Ad oggi, nei vari diari ed interviste che ha concesso, ammette il grande errore fatto, cosa da pochi. Esula coach e famiglia dagli atti commessi e dice di essere stato un pessimo esempio per suo figlio, per poi accettare la squalifica, scusandosi con i fan e sottolineando quanto è complesso perdonarsi. Non cerca di nascondersi e sostiene che tornerà più forte di prima, senza scorciatoie.
È stato compagno di palestra di Cody Garbrandt e altri nel Team Alpha Male di Sacramento salvo poi “tradirli”, accaparrandosi un coach e creando un piano di allenamenti in una palestra tutta sua. Questo scatenò l’odio degli ex compagni, prima dediti amici, come dimostrano i video di Garbrandt che se la prende con McGregor dopo che questo aveva chiamato Dillashaw “snake” (serpente).
Ma cosa c’è dietro la psicologia di un uomo che fa questo pur di arrivare al successo?
T.J. Dillashaw sostieneva di voler diventare il GOAT dei Bantamweight, di voler essere un fighter pop, un’icona delle MMA mondiali.
C’era quasi riuscito, ma non con mezzi moralmente e legalmente inaccettabili. Dietro queste scelte c’è sempre la fame di fama, successo e soldi, ma ciò che manca davvero è la fiducia in se stessi. La capacità di spingere, essere costanti e cercare, cacciare ciò che si vuole. E si preferisce il sotterfugio, la strada spianata.
Garbrandt nelle conferenze pre-fight lo accusava di doping prima che The Viper fosse effettivamente risultato positivo all’EPO. Questo, chissà, potrebbe lasciar trapelare quanto già dall’inizio TJ fosse propenso a questo tipo di scorciatoie. E trapela anche quanto la mente di un fighter all’apparenza modesto – o quasi mediocre – possa ritrovarsi davanti ad un bivio: la costanza, la determinazione, le tappe e gli obiettivi o il compromesso, la prostituzione atletica, lo sgattaiolare furtivo e meschino in direzione di un successo immeritato. E T.J. Dillashaw ha scelto la seconda. Due anni di squalifica non sono nulla, è un arco temporale che si passa fuori anche a causa di infortuni (vedi Masvidal). Quello che cambia sono gli occhi del mondo verso i tuoi confronti: zero legacy, zero meriti, zero successo.
Dietro la mente di un atleta dopato, solitamente c’è del narcisismo: si parte da una bassa autostima, da una carenza di autoefficacia e si sfocia in una personalità narcisistica che vada a compensarli. E di nuovo, dietro la mente di Dillashaw questo appare. Un fighter che ha deciso di non spingersi al limite con le proprie forze, che non ha creduto in se stesso, che non ha trovato la giusta energia per puntare verso il successo, le vittorie, la popolarità e la fama. Ha scelto di compensare tutto questo arrivando allo sporco compromesso del sotterfugio. In più, il doping crea anche dipendenza psicologica: entri nei meccanismi, vinci, raggiungi e non te ne distacchi, si è succubi della spinta che la sostanza dà e non se ne può fare a meno.
Tanti altri fighter sono stati scoperti positivi a sostanze dopanti, soprattutto nella prima era post-USADA, ma difficilmente qualcuno ha perso così tanto dopo un test positivo. Dillashaw ha perso tutto agli occhi di tutti e questo di cos’è frutto? Dell’incredibile scorrettezza? Non saprei, probabilmente anche della sincerità e l’umiltà con cui è riuscito a tornare sui suoi passi, a redimersi. Cosa che nessuno prima di lui ha fatto e forse adesso sappiamo perché. Ha chiesto perdono, prima a se stesso, poi al mondo: ha ammesso ed ha promesso. A Cesare quel ch’è di Cesare: gli va riconosciuta grande umiltà. Probabilmente la strada spianata che si era creato ha portato ad un dirupo, e per risalire da un dirupo ci vuole forza, motivazione e costanza, probabilmente gli elementi che gli sono sempre mancati. Speriamo li riesca a trovare e ritrovare, continuando a dare spettacolo come ha sempre fatto.
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5 commenti
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Il giornalismo da sempre è fazioso, per la stra grande maggioranza, anche in questo caso non è da meno infatti. Più che un giornalista sportivo qui a descrivere l atleta abbiamo uno psicologo affermato, in grado di analizzare l ego del fighter e descriverne gli impulsi e le turbe psichiche che l hanno portato al fallimento sportivo e morale… ??♂️Per favore limitatevi alla cronaca sportiva di un evento, prima di dare del fallito a qualcuno….. Soprattutto quando si parla di atleti di quel livello, come citato dal vostro articolo, sarebbero stati tutti falliti per questa misura di giudizio…
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