UFC, sul razzismo di Covington: qualcuno deve intervenire oppure no?
30 Settembre 2020 0 Di RedazioneUFC – Anche i sassi sanno che Colby Covington non è estraneo dal rilasciare dichiarazioni controverse, che sia perché ci creda o semplicemente perché voglia creare polemiche utili a far risaltare il suo nome.
Tuttavia tende a oltrepassare il limite e dopo il match con Tyron Woodley del 19 settembre, vinto per TKO al 5° round, ne ha fatta un’altra delle sue e diciamo che anche questa volta non ha indossato i guanti di velluto.
Cerchiamo di ricomporre il quadro partendo dall’intervista post-match di Jon Anik, dove Colby, invece di parlare del match, informa il pubblico di come il 3 novembre l’attuale presidente Donald Trump verrà tranquillamente rieletto, mentre il suo contendente al titolo Joe Biden verrà messo a dormire. Così dal nulla, parte con un discorso politicizzato.
Continua poi dedicando la vittoria a tutti i poliziotti e in generale le forze dell’ordine che sono là fuori a mantenere il mondo più sicuro, e conclude inveendo contro quelli che stanno facendo proteste, i codardi, i “senzaspinadorsale” come LeBron James, che non fanno altro che lamentarsi mentre guadagnano milioni di dollari al secondo.
Subito dopo, alla seconda intervista con Megan Olivi, mentre assale verbalmente Usman e Masvidal, riceve la chiamata di Trump in persona che si congratula con lui per la vittoria portata a casa. È un momento grottesco al limite del ridicolo, con Chaos che sembra un bambino al quale hanno appena comprato un gelato, e la conduttrice che rimane incredula.
Ipotizzate soltanto come fremerebbero le bimbe di Giuseppe Conte, se il nostro attuale presidente del consiglio chiamasse in diretta un fighter italiano. Che scena cringe sarebbe? E immaginate anche cosa risponderebbe il fighter italiano di turno!
L’intervista di Olivi prosegue e arriva la giusta benzina per alimentare l’incendio. Entra in campo Kamaru Usman, trovata eccezionale per continuare il dissing, con cui Covington inizia a litigare riferendosi al loro precedente match, che non doveva essere fermato dall’arbitro, che c’erano state scorrettezze, che era stata una terribile serata in generale.
Per terminare felicemente l’intervista, dopo aver tuonato più volte “You’re dead!”, Colby cita la dragon energy emanata dal tycoon trumpiano, e di fronte alle risa scomposte di The Nigerian Nightmare, asserisce:
“Tu hai ricevuto qualche chiamata? Per caso l’hai ricevuta dalla tua dannata piccola tribù? Ti hanno mandato qualche segnale di fumo?”.
Potremmo essere tutti d’accordo sul fatto che quest’ultima affermazione poteva essere risparmiata.
Colby Covington just said; Did Usman get a call from his Tribe with smoke signals. @ufc #ufc #UFCFightNight #postfight pic.twitter.com/yghWiI0RTW
— @uselitecombat (@uselitecombat) September 20, 2020
Arriviamo finalmente alla conferenza stampa dopo l’evento e Covington è scatenato. Tira ingiurie su tutti, a Woodley che definisce un comunista – e dunque, secondo il suo conseguente pensiero, un terrorista -, a Masvidal e alla sua pochezza combattiva, ai fratelli Diaz oramai più che finiti, e infine si dedica completamente a definire quello che per lui è il movimento Black Lives Matter:
“È tutta una finta, una barzelletta. Sono terroristi, criminali, e non americani colletti blu che lavorano. Sono persone pericolose che aggrediscono la polizia, che non rispettano la legge e minacciano le forze dell’ordine con le armi, quindi ottengono quello che si meritano”.
Chiaramente Colby si riferisce in generale alle note proteste della comunità nera e in particolare a quella sportiva: della sua stessa disciplina come Woodley che risponde alle domande dei giornalisti scandendo le parole Black Lives Matter, oppure come i giocatori dell’MLB o dell’NBA, da LeBron James, a Harden, a Lillard, a Antetokounmpo, che sostengono il movimento e per protesta scioperano. Per Chaos essi supportano il comportamento criminale e incoraggiano la venuta di un wild wild west nel continente americano. Essi odiano l’America e poi quando hanno bisogno di avvalersi di sicurezza privata sono i primi.
A queste provocazioni non si sono fatte attendere le risposte, come l’indignazione di Adesanya e della Eubanks, fino a Leon Edwards che gradirebbe chiudere i conti direttamente sull’ottagono. Anche Reebok e Monster Energy si dissociano profondamente dalle parole di Covington e lo stava per fare anche ESPN se non fosse stato per l’intervento di Dana White che non percepisce razzismo in questo circuito mediatico.
Fuori dalle arti marziali miste, i giocatori dell’NBA che condividono con molti protagonisti delle MMA e della Boxe, l’origine povera e disagiata, si sono sentiti attaccati dalle dure parole del bianco dell’Oregon. In prima fila LeBron James che ha notato l’incremento di hater tra i suoi social e ha dunque ben pensato di indirizzare a Colby una risposta decisa:
“Sono tutti bravi a parlare da fuori, ma poi quando devono confrontarsi direttamente con me, se la fanno sotto dalla paura”.
In tutto ciò, l’unica nota realmente comica è stata l’uscita estemporanea e non richiesta di Darren Till che, venuto a conoscenza della faida in corso, ha messo il carico:
“Colby sarà pure un cretino che ama offendere le persone, però se veramente dovesse combattere con LeBron potrebbe aprirgli un nuovo buco nel c***”.
Please tell me I have not just seen a video of lebron saying Colby would shit his pants in the ring with him?
Colby may be an arsehole, in fact a funny arsehole cos so many peoples love getting offended.
But Colby Covington would tear lebron James a new arsehole then rawdog him..— D (@darrentill2) September 23, 2020
Tornando a Covington, i suoi sembrano discorsi prodotti da una macchina comunicativa, e se in parte toccano argomenti reali e di rilevanza su cui bisogna effettivamente intervenire, d’altro canto palesano una retorica spicciola, mortificante, palesemente orchestrata a tavolino che per la sua miseria rimane soltanto fine a se stessa.
È vero anche che a volte vengono demonizzate le forze dell’ordine per quella minima percentuale in cui sono corrotte, marce, senza mai pensare a tutto il resto, a quel che è stato fatto l’11 settembre dai poliziotti americani, alla protezione di cui chiunque gode tutti i giorni senza nemmeno accorgersene, al fatto che se non ci fossero loro probabilmente la società si frantumerebbe dal suo interno.
D’altronde questo Black Lives Matter è un movimento che non può essere ricondotto a un fenomeno dell’oggi e pur volendo è criticabile fino a un certo punto. Esiste già da tempo e incorpora forze di unione profonde che soltanto adesso hanno l’etichetta BLM. Prima si chiamava negritude ed è quindi necessario inquadrarlo in un perimetro più ampio, quello di una legittima rivendicazione che procede da decenni e vuole incassare sempre più risultati ottenendo conquiste, anche piccole, facendo la voce grossa e alzando la posta in gioco (come chiedere ai sindaci di abolire la polizia).
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È sempre bene da entrambe le parti evitare di oltrepassare la linea perché se si guarda alla realtà, si è arrivati al punto in cui certi commenti tendono a coinvolgere le folle molto più che i match e le performance. Il mescolare retorica da marzialista a un’agenda di fatto politica, rischia di gettare tutto in acque pericolose.
Per questo ci si chiede, specificatamente al caso Covington, se qualcuno debba forse intervenire? E in tale ipotesi, chi lo dovrebbe fare?
Recentemente Dana White, incalzato dai giornalisti, ha cavalcato la massima secondo la quale tutti hanno diritto ad esprimere quello che pensano. Eppure non sempre è andata così, basti pensare come in passato Matt Mitrione e Nate Diaz sono stati multati per calunnie, oppure più recentemente alla censura sulle critiche dei fighter all’affare Reebok e a UFC 249, o le sospensioni che seguirono la bagarre tra McGregor e Khabib, semmai ve la foste dimenticata.
Ciò nonostante, il boss ambiguamente afferma:
“Qua non mettiamo la museruola a nessuno, non so se quello che ha detto Chaos è razzista o no, non mi pare di aver sentito parole razziste”.
Quando i giornalisti insistono chiedendogli se UFC si oppone fermamente al razzismo, questa è stata la risposta:
“Certo che ci opponiamo al razzismo, ragazzi non sto facendo dei giochetti con voi. Dai, per favore. Mi chiedete se tutto questo fosse stato razzista, lo avremmo considerato sbagliato? Sì, è chiaro”.
In questo grazioso quadretto era presente anche Adesanya, tra i promotori delle critiche, ma al tempo stesso anch’egli criticato.
Insomma, cerchiobottismo e contraddizioni di qua e di là. Chi dice troppo la propria opinione offendendo e insultando per opportunismo o convinzione, e chi sa guidare le querelle al fine di fare più incassi possibile, restando oltretutto puliti come colombine.
A volte ci si domanda se sia giusto parlare di queste cose, se si debba offrire un’ulteriore cassa di risonanza a meccaniche di questo tipo. Alcune testate americane hanno deciso di saltare a piedi uniti l’argomento, altri hanno dichiarato all’inizio degli articoli, come disclaimer, la loro linea politica senza troppi malumori. Per questo si è scelto di parlarne, tentando di non appiattire i discorsi bensì problematizzandoli.
In tutto questo, spiacevole è constatare che in sostanza la direzione è quella che porta verso la solita guerra tra poveri. Tanto per cambiare.
E voi come giudicate la vicenda? Siete assoluti nell’assegnare colpe e meriti a questo o a quest’altro?
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