UFC, Quando Brock Lesnar terrorizzò i pesi massimi facendoli sembrare dilettanti

UFC, Quando Brock Lesnar terrorizzò i pesi massimi facendoli sembrare dilettanti

29 Agosto 2020 2 Di Redazione

UFC – Per un fan della UFC, a maggior ragione se di lunga data, non è cosa rara captare all’interno del proprio campo visivo le vicende della WWE.

Questo perché le storie delle due promotion, capitanate rispettivamente dagli imprenditori Dana White e Vince McMahon, hanno avuto modo di intrecciarsi più e più volte nel tempo e con esiti a dir poco di successo (almeno per quanto riguarda gli incassi).

Analizzandola da vicino, la cross-promotion si rivelò essere una formula assai fruttuosa per entrambe le parti perché:

  • UFC, la federazione di lotta agonistica ancora in cerca di completa legittimazione, prendendo in prestito ottimi oratori dal mondo dell’intrattenimento che fecero della caciara pre-match il proprio punto forte, poté attirare su di sé i riflettori di un grande pubblico interessato, sì alla violenza, ma non necessariamente a quella praticata nell’ottagono.

e specularmente,

  • WWE, la più grande organizzazione di wrestling da copione al mondo, ebbe il modo di legittimare i combattimenti teatrali messi in scena vantando all’interno del suo roster dei veri e propri killer affermati.

Tra gli esempi celebri di lottatori passati al mondo dello spettacolo, possiamo trovare gli storici pionieri delle MMA come Ken Shamrock e Dan Severn o, più recentemente, la celeberrima Ronda “Rowdy” Rousey. Sull’altra sponda invece, assieme allo sfortunato Phillip Jack Brooks, meglio conosciuto come CM Punk, risiede l’esempio più noto di wrestler adattatosi alla gabbia ottagonale:

The Beast, Brock Lesnar.

Il gigante di muscoli, alto 191 cm per 130 kg col pugnale tatuato sul petto, dopo aver vinto un singolo match tenutosi in Giappone contro il meno che stellare Min Soo Kim, venne subito proiettato verso la vetta della divisione pesi massimi della promotion dell’MMA, precisamente a UFC 81 in un match contro l’allora 10-3, Frank Mir.

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Grazie al proprio pedigree di wrestler collegiale in prima divisione NCAA e all’impressionante stazza (ricordiamo che nel 2008 i test per le sostanze dopanti erano a dir poco triviali in confronto a quelli attuali sotto a USADA), Lesnar riuscì a portare a terra e controllare la cintura nera nel BJJ per i primi secondi del primo round. Dopo solo un minuto e trenta però, l’inesperienza si rivelò incolmabile, dalla pura prestanza fisica mista a brutalità, e il nuovo arrivato fu costretto a cedere per via di una profonda leva alla gamba.

La deviazione subita dal treno dell’hype firmato Lesnar, fu solo temporanea perché ad UFC 87, nello spot di co-main event della serata, gli fu possibile dimostrare il proprio talento in una performance talmente dominante da toccare i limiti del sadismo. L’avversario, il fighter già affermato nella top 10 dei pesi massimi Heath Herring, dovette rimpiazzare all’ultimo momento l’infortunato (ma forse, a dirla tutta, fortunato) Mark Coleman.

Il match, aperto da Lesnar con un’impacciata ginocchiata saltata seguita da un footwork tipico di chi ha appena interiorizzato qualche concetto basilare di kickboxing, si animò istantaneamente quando un diretto destro tuonante della bestia colpì in pieno volto il nemico, costringendolo ad una sorta di capriola all’indietro sul suolo della gabbia.

Ancora prima di potersi ergere in piedi, Herring venne inchiodato al canvas da un takedown travolgente, non troppo dissimile dalla carica di un toro. Da quel punto in poi, fino alla decisione unanime che concluderà il match, i tre round seguirono una narrazione comune: Lesnar che brutalizza l’avversario a terra con pugni e ginocchiate al corpo, riservando sapientemente le energie per non rischiare di rimanere a corto di fiato.

Il risultato fu una scena che ricorda un predatore del mondo animale che gioca con la preda prima di darle il colpo di grazia.

Dopo questa performance e grazie alla quantità di occhi puntati su di lui, Lesnar si guadagnò un match titolato ad UFC 91 contro il veterano detentore della cintura Randy Couture, di ben 14 anni più vecchio e 40 libbre più leggero. Grazie all’ingegnosità maturata durante una carriera lottatoria decennale, il veterano riuscì a mantenere a parete Lesnar e ad avere la meglio in diversi scambi di dirty boxing. Verso la metà del secondo round però, l’esplosività del contendente si rivelò troppa da arginare e dopo un rapido jab-cross, Couture si ritrovò spalle a terra, a venire martellato con ritmo quasi meccanico dagli hammer fist di Lesnar fino all’intervento salvifico dell’arbitro.

Con la vita cinta dal titolo dei pesi massimi e una sana dose di arroganza espressa nelle ormai celebri interviste post-fight, Lesnar puntò immediatamente a vendicare l’unica sconfitta subita durante la sua corsa con la UFC e questa revenge si materializzò sotto forma di un devastante TKO ai danni di Frank Mir ad UFC 100. Il match non poté essere più dominante per il novello campione, il quale controllò e malmenò Mir a terra grazie alla sua indubbia superiorità fisica fino alla metà del secondo round, punto in cui la punizione venne interrotta dall’arbitro.

Durante l’intervista tenutasi immediatamente dopo al match, un Lesnar visibilmente soddisfatto confidò al microfono sorretto da Joe Rogan, parole poco lodevoli (ma sicuramente colorite) nei confronti dell’appena sconfitto Mir, innescando copiosi fischi e astio da parte del pubblico, un clima insomma che l’ex wrestler WWE conosceva sicuramente bene.

Dopo una vittoria sicuramente di spessore ai danni del power-puncher Shane Carwin (che aveva anch’egli precedentemente battuto il solito Mir), la carriera di Lesnar intraprese una discesa inesorabile.

A UFC 121 dovette cedere il titolo alla nuova leva dei pesi massimi Cain Velasquez, il quale, dimostrandosi un ottimo anti-wrestler, mitigò ogni tentativo di takedown di Brock mantenendo lo scontro in piedi. Qui, le capacità pugilistiche del messicano misero alla berlina il campione che si ritrovò ad essere sconfitto nel lasso di un singolo round.

Dopo un’altra sconfitta alla prima ripresa, questa volta inferta da Alistair Overeem, Lesnar annunciò che la sua carriera nelle MMA fosse arrivata al capolinea con la seguente dichiarazione:

“Tanto di cappello ad Alistair Overeem. Ho passato due anni molto difficili a causa del mio problema di salute. Vi sto annunciando ufficialmente che questa è stata l’ultima volta in cui mi avete visto nell’ottagono. Brock Lesnar si ritira ufficialmente. Avevo promesso a mia moglie e ai miei figli che se avessi vinto questo incontro avrei combattuto un ultimo match per il titolo per poi lasciare, ma se avessi perso… Siete stati tutti grandi ragazzi!”.

Lesnar, nonostante i problemi di salute (era ormai da tempo affetto da una forma piuttosto grave di diverticolite), ritornò nella gabbia una sola ed ultima volta nel 2016, contro il super samoano Mark Hunt. Dopo una tattica esibizione di lotta greco-romana atta ad arginare i potenti colpi dell’avversario, Brock venne sancito vincitore con una decisione unanime, tramutata poi in no contest a causa di un test positivo ad anti-estrogeni e alle minacce di licenziamento da parte del samoano.

Con questa nota infelice, si concluse la parabola da lottatore di arti marziali miste della bestia nativa del Minnesota, nonostante il teatrale accenno ad una possibile feud creata a tavolino con Daniel Cormier dopo il suo primo match contro Miocic, evidentemente non andata in porto.

Seppur breve, la carriera del wrestler fece assolutamente parlare di sé e portò grandi numeri in fatto di spettatori paganti e visibilità a UFC, che si ritrovò con un nuovo campione sorprendentemente dominante nella gabbia e polarizzante al microfono.

L’unica incognita che interessa tuttora l’immaginazione dei fan è cosa sarebbe successo se Lesnar avesse potuto dedicare del tempo allo sviluppo di una solida base di striking da accompagnare alla sua fisicità spaventosa e al suo wrestling di prim’ordine, invece che ritrovarsi con una carriera interrotta ante tempus dall’ombra dell’utilizzo di doping e dai problemi di salute. Sfortunatamente, così come per moltissimi altri “What if” all’interno dello sport, la risposta rimane e rimarrà per sempre rilegata alla speculazione di noi fan.

 

a cura di Emanuele Girlanda